
Attraverso la musica io mi slanciai in alto sul mondo, e sperimentando la più parte dei discorsi non trovai nulla di più potente di Necessità, né un qualche incantamento nelle tavolette lignee di Tracia, che la voce di Orfeo riempì gli scritti, né tutti i rimedi che Febo diede agli Asclepiadi, tagliando per risanare i mortali dal molto soffrire. (Euripide, Alcesti, 962-972)
Giorgio Colli, La sapienza greca (Milano: Adelphi, 1977), I, Orphica, 4[14], p. 131.
Il pharmakon è ciò che, provenendo sempre dal di fuori, agendo come il fuori stesso, non avrà mai virtù proprie e definibili.
Jacques Derrida, La dissémination (Paris: Éditions du Seuil, 1972), La pharmacie de Platon, p. 126.

immagine tratta da Psicologia Alchemica.
Cantando, o Grazie, degli eterei pregi
Di che il cielo v’adorna, e della gioia
Che vereconde voi date alla terra,
Belle vergini! A voi chieggo l’arcana
Armonïosa melodia pittrice
Della vostra beltà; sì che all’Italia
Afflitta di regali ire straniere
Voli improvviso a rallegrarla il carme.
Ugo Foscolo, Le Grazie, I, vv. 1-8.
Il canto delle muse s’accorda in una danza circolare al ritmo apollineo del “dio che colpisce da lontano” con l’arco e la lira: due strumenti – organi artificiali – che esprimono l’incolmabile distanza da cui agisce ciò che la psicanalisi indica come inconscio. È il Simposio platonico a ricordarlo:
La medicina dunque, come dicevo, è governata tutta quanta dal dio Eros, e così pure la ginnastica e l’agricoltura; la musica, poi è evidente a chi presti un po’ di attenzione che si comporta identicamente alle altre, come forse intende dire anche Eraclito, sebbene, stando alle sue parole, l’espressione non sia corretta. Dice infatti che l’uno, in sé disgiungendosi, con sé si congiunge, proprio come l’armonia dell’arco e della lira. (186e-187a)
Qui emerge un nesso tra la musica, la ginnastica, la medicina e perfino l’agricoltura: espressioni dell’essere tecnico, quale è l’uomo, per dar forma rispettivamente alla propria anima (musica), al proprio corpo (ginnastica), alla salute psicosomatica (medicina) ed infine alla produttività della natura stessa (agricoltura). Ma tutti questi volti dell’agire tecnico dell’uomo sono inscindibilmente accomunati dal loro carattere farmacologico. In questo senso, la preminenza va data al nesso tra musica e medicina. Ognuna di queste forme espressive in quanto pharmakon può avere ripercussioni produttive e costruttive o debilitanti e come sempre ricorda Platone, questa volta nel Fedro: la scrittura stessa è una tale forma di pharmakon dal momento che aiuta la memoria e consente forme di memoria collettiva a detrimento tuttavia delle mnemotecniche dell’anima. Come l’esemplifica perfettamente il caduceo di Hermes (poi diventato il simbolo dell’ordine dei medici), il pharmakon racchiude in sé i due lati: il male-veleno dei serpenti e il bene-rimedio del bastone stesso per scacciarli (Ill. I).
Pertanto, il “dio che colpisce da lontano” ha come simboli non solo due organi artificiali morfologicamente simili tra loro – e che nella loro stessa forma fanno eco allo stesso caduceo di Hermes – ma inoltre produttivi delle due forme estreme di eccitazione nervosa: la ferita tangibile e carnale sempre inaspettata di una freccia e la ferita impalpabile, benché sempre carnale, di una vibrazione sonora che altresì penetra i limiti corporei dell’io. Ed è appunto implicitamente alla tensione tra questi due volti della grazia, a cui sembra alludere Foscolo con “l’arcana armonïosa melodia”, giacché questa stessa armonia deve poter risollevare “l’Italia/Afflitta di regali ire straniere”. Nulla infatti consente di scindere l’opera delle muse dal reale storico-politico.
Così si spiega il nome dell’Istituto di ricerca Mousikè. Infatti, i dizionari di lingua greca alludono sempre al fatto che il lemma mousikè esprime ambiguamente al contempo la musica e la cultura nella sua totalità, che può ben essere concepita come la risultante dell’espressione di tutte le muse.
Mousikè vuole essere pertanto, prolungando le prospettive teoriche aperte da Bernard Stiegler (1952-2020), uno spazio di critica farmacologica della storia della cultura e della società contemporanea riportando l’attenzione al suo immaginario e inconscio musicale espresso implicitamente fin dal lemma greco per indicare la civilizzazione come tale.
IL SIMBOLO E L’ISTITUTO

sovrapposizione di due doppi-diesis

©Edoardo Toffoletto
Vi è inoltre una certa connessione tra la ruota e vari simboli floreali; avremmo anche potuto, per lo meno in certi casi, parlare di una vera e propria equivalenza. Se si considerano certi fiori simbolici quali il loto, il giglio o la rosa, il loro sbocciare rappresenta fra l’altro (poiché si tratta di simboli dai molteplici significati), e grazie a una somiglianza assai comprensibile, lo sviluppo della manifestazione; lo sbocciare è d’altronde un irradiamento intorno al Centro, dato che anche qui si tratta di figure ‘centrate’, il che giustifica la loro assimilazione alla ruota.
René Guénon, Simboli della scienza sacra (Milano: Adelphi, 2011), p. 66.


Il simbolo di Mousikè (Ill. II) è costituito dalla sovrapposizione di due doppi-diesis, l’uno a 45 gradi rispetto all’altro formando così per il ruotare degli assi del mondo una rosa mistica, o un rosone (Ill. III), che come nelle Chiese è ciò da cui filtra la Luce illuminando un luogo altrimenti chiuso nella propria noche obscura.
E perché mai optare per una tale immagine – affatto simbolica – per rappresentare un istituto di ricerca? Ancor più se tale immagine pare essere a tutti gli effetti un archetipo in senso junghiano, cioè “le trame mitologiche, i motivi e le immagini che in ogni tempo e luogo possono riformarsi indipendentemente da ogni tradizione e migrazione storica“. Una tale immagine è appunto un simbolo, che “è espressione di una cosa che non si può caratterizzare in modo migliore“: nel momento in cui se ne scioglie il senso svanisce, parallelamente all’aumentare della sua determinazione, la sua stessa valenza simbolica, diventando una forma tra le altre (Jung, 1996, vol. VI, p. 452-455, 461, 483 sq.).
Questo simbolo sta pertanto per l’irriducibile complessità degli infiniti rapporti impliciti tra mousikè nel senso di Musica e mousikè nel senso di civiltà in quanto tale. L’esplorazione e l’articolazione di questi nessi è l’obiettivo di questo istituto, il cui simbolo sarà votato a permanere fino al raggiungimento dei suoi obiettivi, destinati tuttavia ad essere – come ogni attività di ricerca – soltanto asintoticamente approssimati.
René Guénon si compiace di osservare la stretta equivalenza fra il simbolo della ruota, della Croce, e dell’insieme del simbolismo floreale, in cui la “rosa è in Occidente, con il giglio, uno dei più consueti equivalenti di ciò che è il loto in Oriente“. E così pure la stretta relazione fra la componente architettonica del “rosone” con la ruota e la rosa, entrambe simboli del Mondo, dove gli esempi più comuni sono a sei o otto raggi-petali. Si tace qui del riferimento “al principio femminile…cioè a Prakriti, la sostanza universale; e, a tale riguardo, il fiore equivale a un certo numero di altri simboli, fra i quali uno dei più importanti è la coppa” (Guénon, 2011, p. 63-75).
Le associazioni potrebbero in effetti sconfinare inoltre nei meandri della Kabbala e della numerologia mistico-musicale: gli otto raggi-petali formati dalla sovrapposizione dei due doppi-diesis – a loro volta allusioni del simbolo della Croce – evoca immediatamente l’idea dell’ottava musicale, in cui ogni raggio-petalo corrisponde ad un tono (o metafisicamente una qualità).
Non è un caso quindi che troviamo nel Paradiso dantesco una forte relazione fra la descrizione tutta acustica della “circulata melodia” delle schiere angeliche che “facean sonare il nome di Maria” – di cui la rosa mistica è simbolo ancora prima della modernità luterana (Ill. IV) – e la rosa mistica appunto:
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa.
(Dante, 1997, vol. III, XXIII, XXVIII, XXX, XXXI)
Così è nella forma della rosa che le schiere angeliche assurgono come totalità a sposa di Cristo, cioè appunto del corpo-coro mistico della Ecclesia universale. Essa fu sempre a partire dalla devotio moderna, che apre al Moderno e in cui la visione utopica dantesca si iscrive, rappresentata dalle infinite variazioni del tema della Madonna della Misericordia (Ill. V). Essa protegge con il suo ampio mantello i membri della comunità al suo interno filtrando appunto – quale un rosone – la pura Luce del fondo dorato su cui si staglia, che come tale all’occhio mortale dell’uomo è pari all’indistinto della noche obscura.
Si vuole qui ardire a sostenere che un istituto, e segnatamente questo istituto, sia una Ecclesia? Dopotutto, ecclesia, nel suo etimo greco (ek–klesis), non allude ad altro che all’insieme di persone che sono state chiamate a radunarsi per un qualche obiettivo. Ebbene, questo è esattamente Mousikè. Istituto di critica e farmacologia musicale: una comunità del sapere con l’obiettivo di riportare all’attenzione l’inconscio musicale e il suo immaginario che informa di sé le forme della vita quotidiana.
Perciò questa allusione alla rosa mistica per rappresentare l’istituto, affinché si possa esperire all’impatto una “musica degli occhi“, come il giovane Rilke definisce la rosa, nella sua raccolta in francese Les roses, condensando in tre strofe la sua stratificazione simbolica tradizionale che si è tentato qui appena di accennare (Rilke, 2010, XVII):
C’est toi qui prépares en toi
plus que toi, ton ultime essence.
Ce qui sort de toi, ce troublant émoi,
c’est ta danse.
Chaque pétale consent
et fait dans le vent
quelques pas odorants
invisibles.
Ô musique des yeux,
toute entourée d’eux,
tu deviens au milieu
intangible.
Sei tu che prepari in te
più di te, la tua quintessenza.
Quel che esce da te, conturbante/ fremito,
è la tua danza.
Ogni petalo acconsente
e accenna nel vento
qualche passo fragrante
invisible.
O musica degli occhi
che attorno ti fanno cerchio,
mentre tu diventi al centro
intangibile.
BIBLIOGRAFIA
Dante. Commedia. Milano: Mondadori (i Meridiani), 1997.
Guénon, René. Simboli della scienza sacra. Milano: Adelphi, 2011.
Jung, Carl Gustav. Opere. Torino: Bollati Boringhieri, 1996.
Rilke, Rainer Maria. Le rose. Firenze: Passigli Editore, 2010.