Man Ray, Toyen (1929)

T. I
The scholar in pursuit of Toyen encounters some of the usual problems in studying a female artist – the relative paucity of critical sources, the need to research her via male associates – yet not entirely for the usual reasons. Indeed, Toyen’s two artistic partners, Štyrský and Heisler, have received no more attention than she. It is less that her gender has obscured knowledge of her work than that historical circumstances – primarily arising from the Cold War – have obscured her from view.
T. II
Città per cui vagano strampalati commandos di alchimisti, di astròloghi, di rabbini, di poeti, di templari acèfali, di angeli e santi barocchi, di arcimboldeschi fantocci, di marionettisti, di conciabrocche, di spazzacamini. Città aggrottescata di umori stravaganti e propizia agli oròscopi, alla clownerie metafisica, alle ràffiche di irrazionale, agli incontri forttliti, ai concorsi di circostanze, alle complicità inverosimili tra fenomeni opposti, ossia a quelle «coincidenze petrificanti » di cui discorre Breton.
Angelo Maria Ripellino, Praga Magica (Torino: Einaudi, 1973), p. 9.
T. III
The abundance of material on sex and sex education during the First Republic suggests that Toyen’s exploration of the erotic, while not typical of female artists of her generation, was generally congruent with Czech cultural attentiveness to sexuality at this time. Toyen’s interest in eroticism, although unusual in its extent and expression, was intimately related to her historical and geographic location as an urban Czech forming her artistic personality during first a period of economic boom, avant-garde optimism, increased opportunities for women, and sex reformism, and then a period of economic crisis, restriction of women’s employment, and relative social conservatism.
Karla Huebner, «The Czech 1930s through Toyen », in Jusová, Iveta a Jirina Siklová (a cura di), Czech Feminism Perspectives on Gender in East Central Europe (Bloomington: Indiana University Press, 2016), Part I. Gender Issues in Czech Society prior to 1989, p. 74.
T. IV
De la Prague qu’a chantée Apollinaire et de son magnifique pont aux statues en haie qui conduisait d’hier vers toujours, de ses enseignes lumineuses par le dedans et non par le dehors – au Soleil noir, à la Roue d’or, à l’Arbre d’or, tant d’autres – de son horloge dont les aiguilles, fondues, dans le métal du désir, tournaient à rebours, de sa rue des Alchimistes et, par-dessous tout, de ce bouillonnement d’idées et d’espoirs, là plus intense que partout ailleurs, de ces échanges passionnés à la fleur de l’être aspirant à ne faire qu’un de la poésie et de la révolution, tandis que les mouettes en tous sens barattaient la Moldau pour en faire jaillir les étoiles, que nous reste-t-il ? Il nous reste Toyen.
André Bréton, Le surréalisme et la peinture (Paris: Gallimard, 1968), p. 209.
T. V
La teoria dell’arte che abbiamo chiamato poetismo parte dalla convinzione che le formazioni artistiche ereditate, che erano condizionate dall’artigianato, sono ormai morte nella nostra epoca. Inoltre, la trasformazione della base produttiva in industria ha privato le vecchie formazioni artistiche della loro raison d’être, perché ha tolto loro le funzioni cui servivano e le ha assegnate a nuovi, più adatti campi. […] Occorre indirizzare la nuova attività poetica ed estetica non già a una prassi economica o all’apostolato ideologico, ma alla cultura delle forze emancipate e risvegliate dell’uomo, deformate per secoli dall’oppressione sociale.
Karel Teige, «Poesia, Mondo e Uomo (1930) », in Arte e Ideologia 1922-1933 (Torino: Einaudi, 1982), p. 326.
T. VI
Occorre sottolineare l’importanza dello sviluppo degli organi dei sensi, della sensibilità e del contenuto sensoriale in relazione allo sviluppo socio-economico dell’umanità. ‘La formazione dei cinque sensi è il prodotto di tutta la storia (K. Marx). […] La sua nuova missione [del poetismo] è di coltivare i sensi e arricchire la sensibilità dell’umanità con tutti i mezzi adatti, suono, colore, luce e gesto.
Teige, «Poesia, Mondo e Uomo (1930) », in Arte e Ideologia 1922-1933, pp. 328-329.
T. VII
a. Ma ciò che salta più agli occhi […] è l’insistenza più ossessiva sui temi esotici, la mobilità da globetrotter. Diresti che con l’esotismo essi vogliano sottrarsi al cerchio implacabile della pragheità, che li avvolge come il serpente ouroboròs degli alchimisti, all’esorbitante mestizia, al sopruso della città vltavina.
b. […] facce dissolte in una perfida smorfia. Hanno teste gommose, impastabili, da manipolare come pongo, teste a foggia di cocuzza schiacciata, da cui a volte un berretto come un’escrescenza molliccia si allunga. E spesso, invece del viso, ci mostrano maschere di calcina, ruvide concrezioni geologiche.
Ripellino, Praga Magica, pp. 336 e 343.

T. VIII
En fonction du premier Manifeste, le groupe surréaliste parisien s’orienta vers le point lointain où, toutes les contradictions qui pèsent sur la réalité humaine étant abolies, rayonnent les possibilités d’une vie sans entraves. Préparer la libération totale de l’homme, tel fut l’idéal mis en avant, et pour cela, l’on eut recours simultanément aux formes négatives et positives de l’action, en assumant d’une part la révolte contre les iniquités sociales, et en revendiquant d’autre part des moyens nouveaux d’attiser les désirs.
Sarane Alexandrin, Le surréalisme et le rêve (Paris: Gallimard, 1974), p. 149.
T. IX
Le rêve fait langage de tout objet. Le moindre pain de nos rêves est une métaphore. A son point de liberté, le désir découvre toujours l’objet qui lui permet de prendre forme. Il l’interprète, l’utilise, s’identifie à lui. Il est permis de penser qu’un travail analogue à l’élaboration du symbolisme onirique peut conduire, au plein jour, à la recréation du monde.
Yves Bonnefoy, «Donner à vivre », in André Breton e Marcel Duchamp (a cura di), Le surréalisme en 1947 (Paris: Pierre à Feu Maeght Éditeur, 1947), p. 67.

Un’ombra sporge tra le ante di un séparé (Ill. I). Ombra umanoide, indubitabilmente femminea. Più che un’ombra, un accenno di figura, un’essenza. L’abito che indossa è fatto di pelle felina, e di fatto emerge il muso di un gatto, allucinato, imbalsamato nel tessuto. Ma è verso il ventre della donna che è situato ciò il punto focale della rappresentazione: una bocca umana spalancata, bocca di donna, prelevata da chissà quale giornale o rivista, incollato proprio al posto delle fauci di un felino. Non vi è alcun grumo pittorico, il pennello si è mosso per farci dimenticare che c’è stato un pennello, come nei quadri di Magritte. Primo paradosso: un’immagine onirica che è al contempo levigata, precisa nella sua indeterminatezza. I guanti, d’un verde smeraldo, un colore perfido, lo è d’altronde l’aura del quadro. Il volto della figura-essenza è déplacé, non è dove ce lo aspetteremmo. Guardando bene, si scorgono altre due ombre maschili, ai lati della donna. Come se attendessero all’entrata in scena della figura al centro, come se ne fossero “garanti”. Ma ecco che, se ci allontaniamo appena (con l’occhio della mente), notiamo come la donna è essa stessa impressa, come un simulacro, sull’anta centrale del séparé. Che essa è il séparé. Che, insomma, tutto il gioco è nel fatto che quella che dovrebbe essere un’ombra incolore, è invece animata, viva. Ed è probabilmente questo il senso della falena incollata in alto: bidimensionale, sdoppiata come se appoggiata su uno specchio. Un promemoria critico? Per non dimenticare che “ceci n’est pas du réel”? Che si tratta, in fin dei conti, pur sempre di un’immagine?
Percorrendo le sale de l’écart absolu (la minuscola iniziale è voluta, vedremo poi il perché), esposizione organizzata al Musée d’Art Moderne de Paris (25 marzo-24 luglio 2022) da Annie Le Brun, è difficile non domandarsi come sia possibile che di Toyen, alias Marie Čermínová, esista una bibliografia limitatissima e per quale motivo siano così poche le esposizioni dedicatele. Una prima risposta, inevitabile, è che in quanto donna, in un sistema gerarchicamente imperniato attorno alla figura maschile, il genio di Toyen sia passato inosservato o quanto meno diluito, benché lo studio Toyen. A magnetic woman di Karla Huebner sembri scartare questa ipotesi (T. I). Nata nel 1902 a Smíchov (un sobborgo industriale di Praga), Toyen si unì al gruppo interdisciplinare Devětsil nel 1923 e fu in seguito membro fondatore del gruppo surrealista di Praga. Lo pseudonimo Toyen – che forse risale al termine francese citoyen (Le Brun 2001) – è segno della volontà di Čermínová di decostruire il suo genere, di annullarlo. Il clima politico-culturale di Praga (T. II) – e della Cecoslovacchia – è, tra le due Guerre, molto vivo. È infatti un ambiente dove è possibile, per esempio, un’esplorazione poetica e artistica dell’erotismo (eterosessuale e bisessuale) che non incorre nella censura, come dimostrano i primi lavori di Toyen in collaborazione con altri artisti della sua generazione (T. III). È con Jindřich Štyrský, Karel Teige e Václav Nezval, che Toyen fonda nel 1934 il gruppo surrealista ceco (Ill. II).
Ill. II – Manifesto deldella prima esposizione
a Praga del gruppo surrealista ceco (1935)
Questo clima era destinato tuttavia ad estinguersi progressivamente durante la Seconda Guerra Mondiale e, in seguito, con l’occupazione sovietica. Štyrský scomparve nel 1942, Teige morì nel 1951, « nelle mani della polizia sovietica » (T. IV). Toyen, l’unica superstite dei fervori di Praga, vi rimarrà lavorando clandestinamente fino a poi trasferirsi a Parigi nel ’47 assieme all’amico e artista Jindřich Heisler (il Centre Pompidou, tra l’altro, organizzò una grande esposizione nel 1982 proprio sui tre artisti), il quale morì a sua volta nel 1953. Toyen restò a Parigi fino allo scioglimento del gruppo surrealista nel 1969.
Le Brun organizza l’Esposizione in quattro periodi diversi: la prima parte, Mirages, comprende il periodo dal 1919 al 1929; la seconda parte, La femme magnétique, si muove dal 1930 al 1939, e racconta l’avvicinamento al movimento surrealista; la terza parte, Cache-toi Guerre! intende descrivere gli anni del conflitto, dal ’39 al ’46; l’ultima parte, Le devenir de la liberté, copre gli anni che vanno dal 1947 al 1966, cioè a partire dal trasferimento a Parigi. Il titolo Écart Absolu fu quello di un’altra esposizione del gruppo surrealista organizzata alla galleria L’Œil nel 1965 (Ill. III).
Ill. III – Manifesto dell’esposizione
organizzata da Bréton, L’Ecart Absolu
I primi lavori di Toyen si trovano chiaramente sotto le influenze del poetismo (T. V). Nella fanfara, nel marasma del libero esercizio del desiderio, la società è capace di avanzare verso il progresso; Toyen e i suoi compagni inventano un caleidoscopio emotivo-figurale in grado di rinnovare la vecchia arte, e con essa il rapporto dell’uomo con l’immagine. La sensualità (T. VI), l’esotismo (T. VIIa), la stilizzazione delle figure umane, l’assenza dei principi prospettici, la rivisitazione di temi classici sotto una luce ironica sono i principali caratteri di questi dipinti. Se la scena de Le coussin (Ill. IV) potrebbe essere affiancata ad analoghe nei quadri di Georg Grosz, sebbene qui il macabro e il putrescente della società borghese (tipici della poetica della Neue Sachlickheit) siano rappresentati senza ricorrere a tetre colorature (T. VIIb).

Come conciliare questo stile con il periodo successivo, di impregnazione surrealista? Di fatto, anche il surrealismo – come il poetismo – mirava alla rivoluzione sociale (T. VIII). Ma il surrealismo (quello francese, in primis) ha portato con sé non solo un drastico cambiamento nel canone figurativo, ma anche – e soprattutto – quello di una visione altra della donna[2]. Questa diventa féerique, magica: solo lei detiene le chiavi di accesso a un universo sensitivo che racchiude una sessualità libera. Questa idealizzazione della donna si presta a molte forme: disarticolandola (Dalì), deformandola (Picabia), rappresentandola nei momenti di più sfrenata libido (Balthus). Bréton, in Arcane 17, affida all’arte surrealista il compito di esaltare lo sguardo femminile del mondo a discapito dell’intelligenza di stampo maschile.
Per i surrealisti, la donna “ignora, ha dimenticato il suo potere, cerca istintivamente l’animazione attraverso l’uomo che la completerà completando sé stesso” (Benayoun 1965, p. 18). In che modo si posizionava Toyen? Era o meno sulla stessa linea di pensiero di Bréton? Quel che è certo, è che l’abisso che si spalanca nei dipinti degli anni ’30 sembra non avere nulla a che fare con le premesse figurative degli anni del poetismo.

Benjamin Péret descriveva Toyen nel 1953 come quella che
« non dorme e vede i suoi sogni nelle pietre »
Passando nelle sale che compongono la seconda sezione dell’esposizione, si subisce in qualche modo l’alterazione atmosferica delle tele, le colorazioni e i paesaggi improvvisamente abissali. Così, La dormeuse (Ill. VI) mostra un nuovo uso delle figure geometriche, un tratto netto che si staglia da una notte interiore senza fine. La figura che ci dà le spalle non ha alcuna consistenza, fluttua come i sogni, senza alcuna posizione certa, e anzi essa cerca di afferrare in qualche modo qualcosa di materiale. Eppure, la figura – l’immagine – non cela null’altro che sé stessa (T. IX). Durante la guerra Toyen abbandona la pittura per il disegno. Come Goya, per Toyen l’apparente nudità del puro tratto su carta sembra poter essere il solo mezzo di raccontare il disastro. Le allucinazioni oniriche assumono una forza comunicativa, divengono così un linguaggio. Il ciclo Cache-toi, Guerre (Ill. VII), sulle poesie dell’amico Hiesler, denota una certa semplificazione dello stile.

Bréton si sofferma anche sul rapporto che Toyen intrattiene col disegno:
esso le serve « non seulement comme armature pouvant seule assurer la solidité et la validité de la construction mais encore comme fil d’Ariane lui permettant, devant l’étendue de son interrogation, de se perdre indéfiniment pour se retrouver ».
Nel dopoguerra, dopo l’esposizione che Bréton organizza in suo onore nel 1947 a Parigi, il segno di Toyen assume una forma definitiva. Non compaiono più gli ectoplasmi acquatici caratteristici degli anni immediatamente precedenti al conflitto. Il desiderio, nelle forme femminili – fluide e rotondeggianti –, si configura in dei giochi metafisici che mettono sempre sotto scacco l’interpretazione dello spettatore. Già in Relache (Ill. VIII), realizzato nel 1943, siamo di fronte ad uno stile che è diventato inconfondibile. Rispetto ai suoi colleghi surrealisti, Toyen si smarca progressivamente dall’erotismo esplicito per raggiungere dei drappeggi dolcemente sensuali, come quello della ballerina, che si fonde a sua volta con la pittura colante dal muro.
La relache è un abbandono, e tutto quello che è rappresentato nel quadro si abbandona all’abbandono. Dopo la rappresentazione – se il surrealismo di Toyen unisce il gesto del pittore all’atto desiderante – non vi è altro che la costituzione dell’opera d’arte stessa con e nello sguardo dell’osservatore. Come nel quadro Nouent et renouent (Ill. IX). L’uccello azzurro è un simbolo dell’impossibile (Cirlot 2021, p. 475), come lo è la comunicazione, il linguaggio, la logica diurna. Toyen – che Le Brun racconta come un personaggio enormemente discreto, che peraltro ha lasciato soltanto pochi fogli manoscritti – approda a una logica della sensazione, nella quale tempo e spazio annullano la loro eterogeneità.

BIBLIOGRAFIA
Alexandrian, Sarane (1974). Le surréalisme et le rêve. Paris: Gallimard.
Benayoun, Robert (1965). Erotique du surréalisme. Paris: Pauvert.
Bréton, André (1968). Le surréalisme et la peinture. Paris: Gallimard.
Bréton, André e Marcel Duchamp (a cura di) (1947). Le surréalisme en 1947. Paris: Pierre à Feu Maeght Éditeur.
Cirlot, Juan Eduardo (2021). Dizionario dei Simboli. Milano: Adelphi.
Jusová, Iveta e Jirina Siklová (a cura di) (2016). Czech Feminism Perspectives on Gender in East Central Europe. Bloomington: Indiana University Press.
Le Brun, Annie (2001). «Toyen ou l’insurrection lyrique ». La Nouvelle Revue Française, n°559: pp. 131-150.
Ripellino, Angelo Maria (1973). Praga Magica. Torino: Einaudi.
Teige, Karel (1982). Arte e ideologia. 1922-1933. Torino: Einaudi.