RÉVOLUTIONS XENAKIS

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Iannis Xenakis
Diatope, vista dall’interno,
Centre Pompidou (1978).

Ill. I – Michèle Daniele, Iannis Xenakis, anni ’70

T. I

Nei suoni di Xenakis si rispecchiano non solo la tecnica e la scienza moderne, ma anche sommovimenti politici, crisi e catastrofi del nostro tempo e, non ultime, anche le sue esperienze del periodo della rivolta popolare, del terrore e della repressione distruttrice nell’Atene della seconda guerra mondiale.

Rudolf Frisius, «Costruzione come informazione cifrata. Sulla musica di Iannis Xenakis», in Enzo Rostagno (ed.), Xenakis (Torino: EDT, 2018), 94.

Video I – Artin Bassiri Tabrizi, Révolutions Xenakis I, giugno 2022.

T. II

They believe in immediate action and are very little concerned with its control by the mind. But since musical action, unless it is to risk falling into trivial improvisation, imprecision and irresponsibility, imperiously demands reflection, these groups are in fact denying music and taking it outside itself.

Iannis Xenakis, «Towards a Metamusic», Tempo, n°93 (1970): 2.

Video II – Edgar Varèse, Poème électronique (1958)

T. III

Questa musica non si spiega con le formulazioni tradizionali della teoria musicale fondamentale e di quella delle forme musicali, ma con i modelli di pensiero della matematica e della fisica d’oggi.

Frisius, «Costruzione come informazione cifrata. Sulla musica di Iannis Xenakis», in Rostagno (a cura di), Xenakis, 93.

Video III – Iannis Xenakis, Metastasis (1953-1954).

T. IV

Un’arte fondata sul calcolo può offrire uno spettacolo diverso da quello della geometria? Un’arte tanto particolare, tanto omogenea, può soltanto adattarsi spontaneamente o essere adattata per forza a una situazione estra-nea tanto alla sua sostanza quanto ai suoi obiettivi? Per quanto paradossale possa sembrare, la musica di Iannis Xenakis, anche la più astratta, porta nell’intimo delle sue fibre una potente teatralità, una teatralità tuttavia di carattere generale, quella del moto della materia, dei cicli della natura, dei grandi miti abbastanza forti da percorrere i secoli.

Maurice Fleuret, «Il teatro di Xenakis», in Rostagno (a cura di), Xenakis, 159.

Video IV – Iannis Xenakis, Concret PH (1958).
Video V – Artin Bassiri Tabrizi, Révolutions Xenakis II,
giugno 2022.


Si è appena conclusa al Musée de la Musique della Philarmonie di Parigi l’esposizione Révolutions Xenakis (dal 10 febbraio al 26 giugno), in occasione del centenario dalla nascita del compositore e architetto greco-rumeno Iannis Xenakis (1922-2001). Commissionata anche dalla figlia Mâkhi Xenakis, l’esposizione concentra in un’unica grande sala fotografie rare, manoscritti, progettazioni e istallazioni sonore. È dunque nel segno del suo grande eclettismo che si è voluto ricordare il compositore che, rivoluzionario, lo è stato in ogni senso.

Perché, come ricorda Mâkhi, sebbene ogni atteggiamento critico tenda a separare l’autore dall’opera, per quanto riguarda Xenakis quest’operazione risulta deleteria. La sua musica si fa infatti espressione dell’esperienza della guerra, della Resistenza, del rapporto con la madre, e infine della volontà di superare tutte le contraddizioni della società contemporanea proprio grazie al connubio tra le arti, di progettare una città cosmica (l’influenza del maestro Le Corbusier è evidente), utopia di cui la musica è garante.

In un articolo pubblicato nel 1970, Xenakis espone chiaramente i principi della sua poetica. Innanzitutto, egli afferma come in ogni attività creativa – e perciò anche e soprattutto nella creazione musicale – «scientific and mathematical thought should amalgamate dialectically with intuition» (Xenakis 1970, 3). Senza la componente formale, senza la riflessione (reflexion), ciò che noi chiamiamo “musica” sarebbe privo di consistenza. Se Xenakis rimarca polemicamente la centralità dell’aspetto formale, è in opposizione ad alcune tendenze musicologiche dell’epoca che, romanticamente, sopravvalutano l’importanza dell’atteggiamento intuitivo e dell’“immediatezza” dell’atto di creazione.

In tal senso, quando Milan Kundera parla di Xenakis come “profeta dell’insensibilità”, egli si riferisce proprio alla capacità del compositore greco di scardinare profondamente la storia della musica occidentale, orientandosi verso un approccio formalista al di là della concezione sentimentale del suono. La bellezza della musica xenakisiana, stando a Kundera, risiede proprio in questo rifiuto dell’esibizionismo sentimentale, spostando la direzione verso l’esterno, verso l’oggetto, la Natura.

Ma queste erano anche alcune delle premesse, se non dell’Impressionismo, anche della musica seriale. Per comprendere come l’estetica xenakisiana sia differente dalle precedenti, è fondamentale inquadrare la sua relazione con l’architettura. Di fatti, a partire da quando trovò rifugio a Parigi nel 1947, Xenakis collaborò per dodici anni con Le Corbusier, mentre era al contempo allievo di Olivier Messiaen. Il più importante, tra i primi, dei lavori costruttivisti di Xenakis è la costruzione del padiglione Philips in occasione dell’Esposizione Universale a Bruxelles del 1958. La struttura del padiglione è da considerarsi parte integrante della composizione che era eseguita al suo interno: il Poème électronique (Video II) di Edgar Varèse (1958).

La prima composizione di Xenakis è Metastasis (1953-1954) (Video III). Le caratteristiche della musica tradizionale, del sistema diatonico (la “terra ferma” della composizione musicale) (Xenakis 1970, 3) sono totalmente assenti. Si tratta di musica continua, senza interruzioni, con linee sonore che si muovono in tutte le direzioni come se fossimo di fronte a un disegno sconfinato (non a caso Xenakis stesso utilizzava, per gli sciami sonori, il termine “galassie”). Questa continuità è contrastata – come spesso avviene nelle composizioni di Xenakis – da impulsi che scandiscono una certa ritmicità, ma che non rappresentano comunque nessun punto di arrivo armonico e si avvicinano piuttosto all’idea di una musica “computazionale”, che il compositore greco svilupperà a partire dalle composizioni del 1956.

Ma l’aspetto probabilmente più interessante del pensiero xenakisiano è rappresentato dal connubio tra luce e musica, che confluirà nel Polytope (da poly: numeroso, multiplo, grande; e topos: luogo, posto) di Montréal, realizzato nel 1967. D’altronde, per lo stesso Padiglione PH dell’expo del ’58, Xenakis aveva composto Concret PH (Video IV); attraverso 425 altoparlanti, si diffondeva sulle pareti del padiglione lo sciame sonoro e luminoso – il suono è essenzialmente quello della combustione del carbone – che Xenakis stesso ha descritto in Formalized Music come «lines of sound moving in complex paths from point to point in space, like needles darting from everywhere» (cit. in Rowell 1984, 241). Con il Polytope, Xenakis espande l’interazione tra luce, spazio e suono fino a creare una nuova forma musicale.

In un testo inedito del 1978, Xenakis scrive riguardo Les Polytopes il seguente passo  che riportiamo integralmente in guisa di conclusione:

Être sensible aux phénomènes lumineux, surtout naturels : foudre, nuages, feux, mer étincelante, ciel, volcans, … Être bien moins sensible aux jeux lumineux des films même abstraits, aux décors de théâtre, d’opéra.

Préférer les spectacles naturels hors de l’homme. Préférer le vertige que crée l’abysse du ciel étoilé lorsqu’on y plonge notre tête en oubliant la terre où reposent nos pieds. Ou bien le surréalisme de rêves où deux lunes extralucides montent simultanément dans le ciel noir. En fait, tout ce qui dans la lumière est proche de la musique par ses côtés les plus abstraits : formes, mouvements, intensités, couleurs, étendues, … Les imaginer, les combiner, les entrechoquer, les faire évoluer comme les paysages lumineux des galaxies et des gaz interstellaires éclairés par des jeunes soleils bleus, ou alors en mouvements gigantesques soufflés par des explosions de supernovæ. De la musique lumineuse pour les yeux, symétrique à la musique sonore pour les oreilles.

L’homme peut aujourd’hui accéder à des évènements faits de lumière réelle comme jamais auparavant avec, pour l’instant, des lasers, des flashs électroniques, des projecteurs et l’informatique (microélectronique, ordinateurs). Du coup, on comprend qu’un art nouveau de la lumière qui ne soit ni peinture, ni fresque, ni théâtre, ni ballet, ni opéra, est là sur le pas de notre porte. Un art par définition hors de l’homme, même si comme dans le cas des Polytopes de Persépolis ou de Mycènes, des enfants ou des chèvres porteurs de torches électriques dessinent dans les champs ou sur la montagne des tracés lumineux qui se confondent la nuit avec les constellations célestes. Un art comme la musique, en soi, sans référence anthropomorphique ou réaliste. C’est cela le sens des aventures polytopiennes (des Polytopes de Montréal (1967), de Persépolis (1971), de Cluny (1972), de Mycènes (1978), du Diatope du Centre Georges Pompidou (1978)). C’est cela la quête d’une expression pan-musciale.

Mais aussi, les leçons de ces expériences montrent à quel point, pour les constructions, structurations et architectures des projets lumineux, il était naturel et efficace d’utiliser les mêmes procédures que celles des architectures sonores.

Finalement, une sorte de fluide esthétique, rationnel et intuitif de l’imagination semble circuler entre lumière, son, technologie, théorie, presque sans rupture de continuité.

C’è quindi, nel gesto xenakisiano, la volontà di restaurare il sentimento di meraviglia che attanagliava l’uomo greco di fronte allo spettacolo della natura – una natura, che nel paesaggio e nelle latitudini greche, si manifestava anche in maniera violenta e brutale.

«Credo che la mia musica», affermava Xenakis in un’intervista ad Enzo Rostagno, «sia come le cose della natura, esse sono violente. Quando vedi gli animali che ne distruggono altri, la grandine che distrugge le piante, tutto questo è legato alla morte» (Rostagno 2018, 70).

BIBLIOGRAFIA

Xenakis, Iannis (1970). «Towards a Metamusic». Tempo, n°93 : 2-19 (https://doi.org/10.1017/S004029820002057X).

Rostagno, Enzo (a cura di). Xenakis. Torino: EDT, 2018.

Rowell, E. Lewis. Thinking about music : an introduction to the philosophy of music. Amherst: University of Massachusetts Press, 1983.

Artin Bassiri Tabrizi
Artin Bassiri Tabrizi

Artin Bassiri Tabrizi (1992) è dottorando in filosofia delle arti visuali all’Università di Strasburgo (ACCRA). Ha ottenuto un Master in “Arts et Langages” all’EHESS di Parigi. Si è diplomato in pianoforte al Conservatorio F. Morlacchi di Perugia. Le sue ricerche vertono sull’estetica, la psicanalisi e la fenomenologia della musica. Attualmente, insegna filosofia in un liceo parigino. Collabora per le seguenti riviste: Gli Spietati, Quinte Parallele, Teatro e Critica.

e-mail: artin.bassiri-tabrizi2@etu.unistra.fr

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