Gustav Mahler (1907)
Fotografato da Moritz Nähr
Che il tempo di Mahler sia ormai giunto lo attesta la fiducia con cui l’odierno pubblico delle sale da concerto cede ai turgori della sua orchestra, confida nelle sue fallimentari resurrezioni, regredisce a paradisi infantili nei boschi di Boemia. Alle sirene mahleriane è amabile cedere, purché non si riduca la sua musica al “paesaggio di un passato conservato in cartolina” (l’ammonimento è di Pierre Boulez) (Fournier-Facio 2010: 533), con l’immancabile rosario di Cacania, Felix Austria, Jugendstil, Steinhof e l’usato elenco dei Musil, Zweig, Roth, Klimt, Freud, inanellati tutti per un ennesimo giro coatto sulla Wiener Riesenrad.
Il rischio è di soggiacere agli incantesimi del Wunderhorn senza più ricordare i timori e gli imbarazzi che attraversavano gli ascoltatori dell’epoca, dilaniati da una guerra civile in cui in questione era il destino della musica tedesca. Si fronteggiavano allora due opposte trincee: contro la tesi del celebre Sul Bello in musica di Eduard Hanslick, essere i suoni un puro gioco di forme aliene a qualsiasi significato extra-musicale, si opponeva Friedrich von Hausegger con il suo Musica come espressione, dove Wagner e Liszt rappresentavano il punto culminante dell’evoluzione storica della musica. La prima stesura del Titano fu terminata a Budapest il 30 marzo 1888, lo stesso anno del Don Juan di Richard Strauss, tre anni dopo l’ultima sinfonia di Johannes Brahms e appena un anno dopo la prima versione dell’Ottava Sinfonia di Anton Bruckner. Mahler si trova dunque al centro di questa contesa sul destino della forma sinfonica e assume una posizione mediatrice, diversamente da quello che parrebbe ad uno sguardo frettoloso. Se il 20 novembre 1889 l’autore dirige nella Redoutensaal del Municipio di Budapest la prima versione del lavoro con il sottotitolo di “poema sinfonico in due parti”, e se nella seconda versione, terminata a Vienna il 16 Agosto 1993, aggiunge anche una didascalia programmatica, è pur vero che il 6 marzo 1896, quando dirige una terza versione del lavoro alla Neues Königliches Opernhaus di Berlino, il compositore lascia solo la dicitura di “sinfonia in quattro tempi” cancellando il piacevole ma eteroclito movimento Blumine e tutte le didascalie.
A ben guardare, dunque, il legame con la forma tradizionale sinfonica è saldo, e in particolare l’ombra della Nona Sinfonia beethoveniana si distende ampia sull’esordio sinfonico mahleriano, a cominciare dalla disposizione stessa dei movimenti, con lo scherzo (qui Ländler) in seconda posizione. Anche lo scoppio tempestoso con cui si apre l’ultimo movimento pare una filiazione della dissonanza con cui Beethoven comincia il quarto movimento della sua Sinfonia con coro. L’incipit del primo movimento su di un pedale poi, sembrava nel genio di Bonn provenire da profondità ctonie, laddove qui giunge da spazi siderali. Lo stesso Naturlaut, un intervallo discendente di quarta affidato ai legni, è un ulteriore omaggio, fa notare Quirino Principe, all’apertura, ribaltata fra i registri, della Quarta Sinfonia di Beethoven. Di passaggio, si rivela il fatto, che, in nome di tale omaggio, persino il cuculo deve modificare il proprio verso e allargare così la terza minore discendente che natura vorrebbe in una quarta.
Generalmente in questa sinfonia Mahler non procede per contrasto tematico (da questo punto di vista molti movimenti delle sinfonie successive presentano un impianto più classico di binarismo tematico, specialmente i primi movimenti della Seconda, della Terza, della Quarta e della Sesta). Al contrario molti temi, pur senza essere l’uno ricavato dall’altro, presentano, specie nel primo movimento, una certa somiglianza intervallare e ritmica, contribuendo così a creare quella sensazione di familiarità che avvolge i temi, che si affacciano alla nostra coscienza mai quali prime apparizioni, ma come pescati dal bacino insondabile della memoria. Cifra di questa sinfonia è proprio il manifestarsi dei temi quali “citazioni”, e non solo laddove essi sono effettivamente memoria biografica (i Lieder già musicati da Mahler) o collettiva (il tema di Bruder Martin). Insondabile è poi il mysterium electionis per cui alcuni temi si riaffacciano più volte nel corso dei movimenti, mentre ad altri, ad esempio il romantico e brahmsiano tema dei corni all’inizio, cui viene dato subito commiato. Il principio della metamorfosi dei temi (non una loro elaborazione contrappuntistica, ma un mero passaggio di carattere, creato da un’accelerazione ritmica o da un cambiamento di modalità) è di chiara ascendenza lisztiana, e trova il momento più lampante nel tema del terzo movimento.
È stato più volte rilevato come in Mahler la forma musicale non basti a se stessa, ma aspiri ad una cornice ideale, ad una “grande narrazione” in cui inverarsi. La perdita progressiva di tali paradigmi ideali è il rito funebre in cui consistono le sinfonie di Mahler. Nella prima sinfonia è la Natura, vista attraverso il prisma dei ricordi d’infanzia, ad assumere il ruolo di redentrice. Dopo la morte del Titano, nella seconda sinfonia, decisamente più urbana e viennese, la natura sarà un ricordo fugace, per essere celebrata nuovamente nella panteistica Terza Sinfonia. La stessa marcia funebre, nel Titano, si svolge per una volta nel bosco e non, come nelle sinfonie successive, nelle vie di Vienna, tra le carrozze e alla luce delle lampade a gas. I ricordi infantili delle parate della caserma di Iglau li udiamo nelle fanfare militari dei clarinetti e delle trombe che riecheggiano fra le fronde delle foreste boeme, immerse in quel suono mahleriano che suonava ai viennesi, ricorda Adorno, come l’aroma degli acini di Riesling maturi. Solo un tema in progressione, cromatico, grave e sinuoso sembra insinuarsi estraneo come un serpente in questo eden. Dopo che, dalla luce filtrante nel bosco, è sorto il tema diatonico di Ging heut‘ morgen über’s Feld, tratto dalla raccolta dei Lieder eines fahrenden Gesellen, il ritorno della quarta discendente, il cuculo, ci riconduce di nuovo nel seno della natura. Siamo tornati di nuovo alla situazione iniziale, al luogo canonico dello sviluppo. Il rapporto volutamente ambiguo di Mahler con le forme classiche tuttavia si gioca anche sul fatto che dal seno della natura sgorghi ora un nuovo tema, prima presentato dai violoncelli in una forma embrionale che si dischiude poco a poco. È ancora un tema dal carattere diatonico e popolare, a conferma di quanto detto prima, sull’assenza di un contrasto tematico dialettico. Anche il dialogo si svolge tra incisi tematici costruiti su assonanze intervallari o ritmiche (ad esempio alle battute 189-190 e 197-198). Ancora ritorna al basso il tema sinuoso e cromatico che avevamo sentito insidiarsi in precedenza, una progressione che nuovamente non conduce il discorso sinfonico in alcuna direzione e si conferma ancor più quale corpo estraneo, come un serpente nel paradiso dell’Eden. Un incrocio ritmico tra battere e levare sul verso del cuculo, sul tremolo degli archi una fanfara dei corni basata ancora sull’intervallo di quarta, che annuncia con entusiasmo una grandezza che ci verrà negata e che si scioglie in un placido ritorno del tema dai Lieder eines fahrenden Gesellen. Sul finire del movimento inizia un momento di dilatazione del tempo sinfonico in un crescendo basato su un ostinato che sfocia in uno scoppio panico di caos dionisiaco, in cui le fanfare delle trombe si uniscono ai precedentemente ascoltati.
Nel secondo tempo troviamo il Ländler, come da lezione appresa dalla Nona beethoveniana, con pochi antecedenti importanti quali Mendelssohn della Scozzese, Schumann della Seconda Sinfonia e Bruckner nell’Ottava e di lì a poco nell’incompiuta Nona. La ruvidezza paesana è qui trasfigurata in un colorito orchestrale di straordinaria lucentezza. Il brano ha la classica forma tripartita di uno Scherzo con Trio. Alla ruvidezza del Ländler nel Trio si sostituisce la malinconica leggerezza del Valzer.
Una forma tripartita ha anche il celeberrimo terzo tempo. Dal contrabbasso solo viene presentato il tema di Fra Martino suonato al modo minore tra gli sberleffi dei legni. Dopo il tema di Bruder Martin abbiamo un ulteriore intervento di due temi dal sapore Kletzmer, che vengono sovrapposti uno sopra l’altro in un collage quasi cubista. Il soggetto irrompe in modo struggente nella sezione centrale con un tema tratto dall’ultimo dei Lieder eines fahrenden Gesellen.
Dopo tale marcia funebre non c’è la resurrezione, come nell’Eroica di Beethoven o come sarà nella successiva sinfonia mahleriana, ma solo l’orrore, tanto più angoscioso poiché sopraggiunge post mortem, ad esequie avvenute. Uno scoppio la cui incomprensibilità, in assenza di una razionalità narrativa e di un nesso programmatico, travolge ancor di più l’ascoltatore.
Nell’ultimo tempo sono annunciati nel vortice cromatico due frammenti di tema dal valore prettamente gestuale, e solo dopo 55 battute questi due frammenti vengono composti e si rivelano essere un tema, incisivo e marziale. Il secondo di questi torsi lo avevamo in realtà già sentito sul finire del primo movimento. Ritorna dopo un momento di calore nostalgico il tema Unheimlich, sinuoso come un serpente, del primo movimento, che sembra riannunciare un pericolo non ancora scampato. Dopo un ritorno del Naturlaut, il tema marziale che conduce tutto il movimento (che si rivela progressivamente quindi una forma di rondò allucinato) conduce alla perorazione finale, un trionfo così smodato da apparir di cartapesta, risurrezione non meno parodistica delle esequie del terzo movimento.
APPENDICE
In occasione dell’esecuzione ad Amburgo del 1893, Mahler definì dunque quest’opera “Titano”, un poema sinfonico in forma di sinfonia. Era diviso in due parti: la prima parte, Dai giorni di gioventù: fiorì, frutti e spine, era formata dai primi tre movimenti e la seconda, Comoedia humana, dagli ultimi due. I cinque movimenti a loro volta erano così definiti:
- Primavera senza fine (“L’introduzione rappresenta il risveglio della natura dal lungo sonno invernale”);
- Blumine (traducibile come “Raccolta di fiori”: è il movimento che venne in seguito soppresso);
- A vele spiegate;
- In difficoltà! (“Una marcia funebre nello stile di Callot”, al cui proposito Mahler annotò: «Lo stimolo esterno della composizione di questo brano musicale è venuto all’autore da “II corteo funebre del cacciatore”, un’illustrazione satirica di un antico libro di favole, che è nota a tutti i bimbi austriaci. Gli animali della foresta accompagnano alla tomba il cacciatore morto: le lepri portano lo stendardo…»);
- Dall’inferno al paradiso (in italiano nell’originale), che deve seguire immediatamente il movimento precedente, “come l’improvviso grido di un cuore ferito nel profondo”.
BIBLIOGRAFIA
Adorno, Theodor Wiesengrund. Mahler. Una fisiognomica musicale. Torino: Einaudi, 2005.
Fournier-Facio, Gastón (a cura di). Gustav Mahler. Il mio tempo verrà. Milano: Il Saggiatore, 2010.
Principe, Quirino. Mahler. La musica tra Eros e Thanatos. Milano: Bompiani, 2002.